Moleculocracy: la lotta dentro e contro il capitalismo estrattivista e tecnocratico

Intervista ad Emanuele Braga, autore di "Moleculocracy. Ecologie, conflitti, turbolenze" (NERO editions, 2023).

18 / 4 / 2024

Venerdì 15 Marzo allo spazio STRIA in piazza Gasparotto, Emanuele Braga, artista, filosofo e attivista, co-fondatore di MACAO e del nuovo centro per l’arte e la cultura e dell’Institute of Radical Imagination (IRI), ha presentato il suo ultimo libro Moleculocracy, pubblicato per Nero Edizioni. Un pamphlet politico di ecologia radicale, in cui Braga prova a immaginare possibili alternative per far fronte all’attuale crisi climatica che non siano quelle tecnologie e “green” presentate dal capitale. Abbiamo colto l’occasione per intervistarlo.

Prima di concentrarci sulle molteplici e diverse tematiche affrontate all’interno del libro, volevamo chiederti cosa ti ha spinto a scrivere questo pamphlet? Perché proprio la scelta delle parole Ecologie, Conflitti e Turbolenze?

Il libro nasce 3-4 anni fa ad Amburgo all’interno di un progetto che ha visto impegnati diversi artisti nella creazione di una proposta per un museo, in cui immaginare uno spazio che fosse luogo di interazione politica per gli attivisti e i movimenti locali ma anche internazionali. Il tema di questa mostra è l’ecologia, con cui si intende come la società umana si deve comportare all’interno dell’attuale crisi ecologica e climatica di cui ne è il principale responsabile.

Questi due aspetti e tensioni sono le stesse che si ritrovano ed animano il presente libro. Da una parte, come riusciamo a fare politica ed attivismo antagonista e radicale all’interno dell’attuale collasso climatico e come possiamo immaginare e percepire il nostro ruolo all’interno di un ecosistema che non deve per forza basarsi sui concetti di colonialismo, antropocentrismo ed estrattivismo, quindi con lo sviluppo di un rapporto di controllo e dominio nei confronti della natura. Dall’altra, come far sì che questo non sia solamente un mero esercizio estetico e narrativo, ma generi conflitto reale e modifichi i rapporti di forza, ricordandosi che il problema e il nemico principale è il capitale.

Questo libro ha avuto una gestazione tra il 2020 fino a pochi mesi, quando è stato pubblicato. Dal tuo punto di vista come sono cambiate le lotte e le pratiche degli attivisti? Cosa pensi della forte repressione che i governi stanno attuando a livello mondiale per sopprimere chi combatte per il clima?

La storia del climattivismo è molto lunga, però, per fare chiarezza è tra il 2018 e il 2019 che stiamo assistendo, per lo meno in Europa, ad una nuova onda di climattivismo. Nello specifico, la nascita di Fridays for Future, Extinction Rebellion fino a Just Stop Oil e Ultima Generazione presente in svariati contesti nazionali ed europei, ma anche le forti e molteplici contestazioni avvenute durante le COP, oppure le azioni in area tedesca guidate da Ende Gelände contro le miniere di carbone e l’estrattivismo sfrenato delle risorse fossili. Sempre in Europa, è importante citare l’ultima stagione francese di Les Soulèvements de la Terre, che è stato in grado di unire in un fronte unico movimenti sociali, organizzazioni ambientali e sindacati contadini.

Negli ultimi anni è chiaro che ci sia stato un risveglio dello spazio politico europeo e globale, soprattutto dal Sud Globale sono nate diverse esperienze che dialogano con il nostro spazio portando prospettive differenti che permettono di arricchire la nostra riflessione critica nell’area in cui viviamo, ovvero uno spazio colonialista bianco. Questa dimensione di eterogeneità e pluralismi è un aspetto molto potente dei movimenti.
L’ondata di climattivismo di cui stiamo parlando nasce in contrapposizione all’attuale governance globale di fronte al cambiamento climatico. Io ho individuato nello spazio e nel percorso delle COP i momenti caratterizzati per il capitale in cui in questi spazi trovano una possibilità di rinnovarsi all’interno della crisi climatica. Le soluzioni proposte da queste conferenze sono sempre state inadeguate, non solo per aver generato politiche e pratiche di greenwashing false e ipocrite, ma addirittura per aver provocato un aumento dell’estrazione e del consumo delle fonti fossili, petrolio e gas principalmente. Quindi, il clima è peggiorato nel momento in cui il capitale ha individuato nel clima il problema e diceva che avrebbe pensato lui a trovare una soluzione a questa crisi.
Ultimamente, tra l’altro, si è alleato con l’emergere dei nazionalismi, un avvenimento strano perché un certo tipo di capitalismo - quello per lo più tecno-soluzionista e legato alle corporation e alla tecnofinanza - nel momento del collasso climatico si è alleato a un possibile ritorno dello stato autoritario. Un esempio sono le reazioni che lo stato italiano e il comparto industriale hanno messo in pratica nei confronti del climattivismo con leggi ad personam, oppure la reazione di Macron dopo le proteste di Sainte-Soline, che ha messo al bando il movimento di Les Soulèvements de la terre. Risulta, quindi, molto chiara la saldatura tra la tecnocrazia delle lobby dell’interesse del capitale e delle catene del valore, con un populismo di stampo fortemente nazionalista in un’ottica di repressione.

Nel libro si parla molto di arte, qual è il suo ruolo dell’immaginare i percorsi futuri, citandoti: “Fare uscire da questo vicolo cieco la modernità”. In questo contesto come collocheresti l’Intelligenza Artificiale?

L’immaginario mainstream di una possibile soluzione alla crisi climatica data dai mezzi di comunicazione, dai leader del comporto industriale, dai grandi colossi del tech e dai rappresentanti politici è una sorta di tecno soluzionismo dove l’uomo, il capitale e l’epoca industriale hanno causato un grosso danno, difficile da risolvere e che si manifesta oggi con svariati e molteplici impatti legati agli eventi climatici estremi a livello mondiale. L’essere umano, però, siccome è forte dal punto di vista tecnologico, può trovare una soluzione. Quindi, l’immaginario è occupato dal tecno soluzionismo come le città green e sostenibile, le tecnologie di cattura del carbonio (Carbon Capture and Storage - CCS) e nel caso più estremo, in cui queste soluzioni non dovessero risolvere il problema, l’idea è quella di terraformare un altro pianeta e lasciare questo che abbiamo distrutto. Questo immaginario rassicura il consenso mainstreaming; in realtà, dal mio punto di vista, queste promesse sono in larga parte irrealizzabili e servono per creare una sorta di “cortina fumogena”, per continuare le politiche estrattiviste fin ora perseguite. Dall’altra parte, c’è un problema altrettanto centrale ovvero che questo tipo di immaginario distrugge ed annienta l’immaginazione di un’alternativa. Le persone fanno fatica a concepire un altro tipo di relazione con gli animali, le materie prima e la natura, più legata alle culture ed ai saperi delle popolazioni indigene e delle comunità rurali agroecologiche. Facciamo fatica a credere che si possa creare un nuovo tipo di relazione che cambi il modello produttivo, che vada oltre le mere soluzioni tecniche.
Questo stesso tipo di fenomeno si riscontra nella polarizzazione della politica con l’emersione dei populismi e nel controllo sociale attraverso le piattaforme sociali. Le posizioni al giorno d’oggi, ormai, sono molto polarizzate, non esiste una via di mezzo. Questo effetto non è dissimile dal modo in cui il capitalismo tratta i sistemi naturali, semplificando la biodiversità culturale ed ecologica dei territori che vengono omogeneizzati e desertificati. Allo stesso modo, anche le società umane stanno subendo un processo simile, in cui i punti di vista differenti vengono eliminati e l’unica soluzione è risieduta nelle tecnologie date dal capitale. Per concludere, un certo tipo di tecnocrazia sta investendo nella proliferazione di una monocultura politica. Non è un caso che l’estrema destra climatica non sia negazionista ma si possa includere in quello che possiamo definire “biofascismo”. Il vero trait d’union che sta crescendo è la saldatura culturale e politica tra il tecnosoluzionismo dalla Silicon Valley e i suprematisti bianchi colonizzatori, in quanto siccome unici possessori del dominio tecnico saranno anche gli unici a sopravvivere. Questo è il nesso, detto in modo più sintetico: la saldatura tra nazionalismo, tecnocrazie e tecnosoluzionismo.


Nel libro fai un uso molto intenso delle note. È una dinamica tua spontanea di scrittura o è finalizzata ad indirizzare il modo di leggere il testo?

Nel libro parlo dei movimenti facendo un parallelismo con il fenomeno del carsismo, dicendo che le cose più belle a volte nascono in zone d’ombra e poi all’improvviso fuoriescono, riuscendo a ribaltare il piatto, comparendo all’improvviso in modo non lineare ed esponenziale. In Moleculocracy ho quindi voluto fare un esercizio simile in cui nel testo principale ho inserito le nozioni mainstream, quelle più importanti. Mentre nelle note cerco di sviluppare degli aspetti che sembrano minori, ma che in realtà sono dei veri e propri capitoli e nascondo lì le prospettive più preziose per me. Un divenire minore della scrittura che ho cercato di esercitare celando delle cose preziose in zone del testo che sembrano ai margini. L’ispirazione di questo tipo di esercizio mi è stata suggerita da uno scrittore a me molto caro, che è David Foster Wallace. La sensazione che ho provato a creare per l’appunto è che nel margine del libro, il lettore possa trovare quelle che per me sono le cose e i processi più interessanti.

Questo libro ci ha ricordato per alcuni versi Realismo Capitalista di Mark Fisher. Ti ha ispirato nella stesura?

Sento vicino il punto toccato da Fisher nei suoi diversi scritti riguardo la pervasività del capitale non solo nei rapporti economici e di sfruttamento, ma anche alla condizione esistenziale in cui ci ha portato come singoli individui. Io accolgo la sfida lanciata da Fisher di dire non c’è più niente oltre il capitalismo, il reale è completamente saturo, riprendendo una famosa frase attribuitagli: “È più facile immaginare la fine del mondo, che la fine del capitalismo”. Questa provocazione che “non c’è più possibilità”, che “aveva ragione Margaret Thatcher quando diceva There is no alternative”, non solo da un punto di vista politico ed economico, ma anche esistenziale, io nel libro la nego.

La sfida per me è immaginare e provare a creare pratiche e azioni per bucare questa tesi. Moleculocracy vuole essere un esercizio disperato e goffo nel cercare di fare questo. Sono molto dispiaciuto anche dal modo in cui Fisher è stato digerito negli ultimi anni, ossia quella di aumentare la percezione apocalittica del “No Future” senza che dall’altra parte, quella dei movimenti e delle controculture, si generasse la voglia di sfatare questa ipotesi, ma causando un’implosione e la reclusione in micro-politiche chiuse, al limite delle identity policies. Quindi, per concludere, con questo testo io volevo proprio andare nella direzione opposta.

Citando testualmente “Frankenstein rappresenta il fallimento moderno nel cercare di costruire la vita come una macchina. Dracula il cinico capitalismo energivoro e gli zombie il vivente ai minimi termini”. Ispirandoci al cinema attuale, in particolare al recente film di Lanthimos “Povere Creature”, come inquadreresti il personaggio di Bella Baxter? Può essere un esempio di antitesi di tutto ciò?

A me il film è piaciuto molto, sicuramente sì. La pellicola si focalizza su un tema che viene ripercorso anche all’interno del libro, ossia che questi mostri, simbolo delle diverse caratteristiche del capitalismo, in realtà sono la nostra condizione. Questo è anche quello che ho capito del movimento queer. Come dico nel libro, bisogna imparare a riconoscere i mostri che siamo e solo in questo modo, prendendoli per mano, possiamo immaginare di tracciare altre traiettorie. Devo assumere il dato di fatto che se io sono diventato un mostro sicuramente la causa è da ricercare nel sistema in cui sono inserito, ma invece che rifiutare questo modello, lo voglio rivendicare e lo faccio generando vita, come nel film.

Bella gira il mondo e genera relazioni senza disconoscere il mostro definito dalla cultura dominante anzi usa questa condizione per politicizzare il percorso che sta tracciando, dicendo la verità. Questo film rappresenta la miseria del patriarcato. Le povere creature sono i diversi modelli di “essere maschio” che popolano il vivente, da quelle più vicine a lei, quelle che conosce dopo e quelle che sembrano essere la soluzione, ma in realtà riproducono un altro stereotipo. Assumersi il nome con cui mi hai chiamato per entrare in una relazione vera e smantellare la miseria che sei è il vero messaggio della cultura queer che ho conosciuto. È un bel film!

Ultima domanda, puoi presentarci brevemente Laura Conti: donna incredibile che citi nel libro: Come l’hai scoperta?

L’incontro con Laura Conti è strano perché non è così famosa, probabilmente perché è un’attivista, scienziata e politica donna del ‘900 italiano e per cui non è sicuramente nota come altre sue colleghe attiviste anglosassoni o uomini attivisti e scienziati italiani dell’epoca. La sua biografia è straordinaria dalla resistenza antifascista come partigiana, milita poi nel partito comunista (PCI) diventando senatrice ed allo stesso tempo è la fondatrice di Legambiente. Durante il disastro del Seveso avvenuto in Lombardia alla fine degli anni’70 fu leader degli attivisti che contestavano il disastro ambientale ed ecologico provocato dall’attività industriale cosmetica presente in quell’area.
È una biologa e all’interno dei suoi scritti fa una riflessione molto interessante. Da una parte prende le distanze dall’approccio marxista ortodosso che esprime un rapporto di forza tra l’essere umano e la natura, che è un qualcosa da governare e sottomettere. Dall’altra, critica anche il sistema politico ed industriale capitalista. Nel suo libro “Questo Pianeta” mostra un’ottica post-ideologica, prende le distanze da queste due grosse ideologie e si attacca alla scienza in modo politico. Nei suoi testi usa l’ascolto del modo in cui la vita umana e non si organizza e si comporta dal punto di vista ecosistemico per comprendere che tipo reazione politica possiamo avere. Questo atteggiamento secondo me è molto contemporaneo.